- per Antonio Contu'
- in Recensioni
- on 25/05/2023

Recensire un disco di Bello Figo è qualcosa di arduo, soprattutto perché il flex boy italiano per eccellenza gioca un campionato a parte. Lui non ha bisogno di pubblicare album e non ha bisogno di essere un abile scrittore o un maestro della tecnica: il suo personaggio è così forte che basta a compensare ogni sua mancanza. Chi non ha mai visto il video di un live di Bello Figo? Diciamocelo: sa intrattenere il pubblico come pochi altri.
Fino a qualche anno fa ascoltare il rapper di “Pasta con tonno” voleva dire non prendere sul serio il rap, non capire niente di musica, ora, invece, è l’esatto opposto e tutti lo riconoscono come il vero artefice della trap in Italia. Com’è giusto che sia.
“Prima ero in Africa” è il titolo del suo nuovo album, e se vi aspettavate qualcosa di completamente senza senso, fatto soltanto per divertire, beh, dovrete ricredervi. Ok, non siamo davanti a un nuovo capolavoro della musica moderna, ma le tracce sono più profonde di quanto all’apparenza potrebbe sembrare. Nella title track, ad esempio, il rapper racconta di quando viveva in Africa e veniva da una situazione di povertà, di come sia riuscito a fare i soldi in Italia nonostante il razzismo subìto e di come sia stato in grado di distinguersi con il suo stile.
E se pensate che sia l’unico pezzo serio, ancora una volta vi sbagliate. “Io e la mia depressione” parla di una relazione finita male, “Ho sofferto” racconta il retroscena della sua vita spensierata che conosciamo attraverso i social, e “Piango nella Porche” possiamo considerarla la reinterpretazione di “Piango sulla Lambo”.
Ovviamente non mancano le hit classiche come “Vogliamo assagiare”, “Pieno di fighe” e “Rossetto e smalto”, ma è bello vedere come, a suo modo, Bello Figo abbia voluto farci capire più di lui come persona.
Traccia preferita : “Vogliamo assagiare”
https://open.spotify.com/album/1jTrWO8Djwdan3YP2ox6bX?si=JIxxkz1eQkuejFm2Bkut6Q&context=spotify%3Aalbum%3A1jTrWO8Djwdan3YP2ox6bX
Tags: Bello Figo, Prima ero in Africa, recensione