- per Antonio Contu'
- in Novità
- on 28/01/2022

Giorgieness, al secolo Giorgia D’Eraclea, inizia il suo progetto artistico nel lontano 2011: muove i primi passi in musica con un’impronta rock (La giusta distanza); attraversa, poi, quel processo di transizione stilistica che prende forma in Siamo tutti stanchi, fino ad arrivare a oggi, in cui la sua musica assume una forma più pop-cantautoriale nel suo ultimo lavoro: Mostri. Il suo terzo e ultimo album si concentra proprio sulle relazioni di ogni tipo: quelle finite e quelle nascenti, quelle forti e quelle fragili, quelle concrete e quelle astratte. A differenza dei precedenti album, questo, dice Giorgieness, è stato scritto in un momento di quiete, una “recollection in tranquillity” dentro cui l’artista ha trovato la libertà spirituale per mettere in ordine quel flusso di coscienza tanto nebuloso. Però, a differenza di come si potrebbe pensare, Mostri non racconta di momenti felici: chi ascolta percepisce quel senso di nostalgia e dolore, delle ferite che l’hanno segnata e che è riuscita a ricucire, dandoci la possibilità di godere di un lavoro nel suo insieme completo.
Dopo un periodo di quarantena, e di attenta riflessione, arriva il momento un po’ per tutti di liberarsi dalle proprie catene e di cogliere quest’opportunità per mostrare agli altri chi si è veramente: un mostro. Ognuno di noi porta con sé un mostro, fatto di rimpianti e di errori, ma anche di momenti felici e qualità che ci appartengono in quanto unici nel nostro essere. In diversi brani, oltre la title track, Giorgieness riprende questa tematica, proprio per aiutare a tirar fuori il mostro dell’ascoltatore più introverso e metterlo a nudo davanti a sé stesso, per costruire questo rapporto.
Abbiamo fatto direttamente a Giorgieness qualche domanda in merito al suo nuovo progetto, a ciò che le ha insegnato il passato e a cosa le riserva il futuro. Leggi cosa ci ha raccontato!
Dopo aver ascoltato il tuo nuovo album la domanda ci sorge spontanea: sono i mostri che abitano dentro di noi o siamo noi stessi i mostri?
È un misto delle due cose: alcuni ce li portiamo dentro, altri li incontriamo, con tutti prima o dopo dobbiamo imparare a convivere.
“Successo” è una critica diretta alla discografia; quale consiglio daresti ad un artista emergente, per quanto riguarda le relazioni in questo mondo?
Di essere il più indipendente possibile, parlo di autonomia, di idee, di lungo termine. Nessuno all’inizio starà dietro al tuo progetto, nessuno ti dirà quando e come fare le cose e la discografia non devi aspettarla, devi convincerla che ne vale la pena.
“Quello che vi lascio” parla del tuo rapporto col tempo: come vivi il rapporto con esso e i legami perduti? Hai rimorsi?
In generale nella vita cerco di non averne, praticando l’estrema sincerità e mettendoci sempre tutto nelle relazioni che ho con gli altri. Il tempo è amico e nemico, dipende come lo usi. E purtroppo o fortunatamente cura tutto, anche le ferite più profonde.
Dal punto di vista estetico Mostri è un progetto tutto al femminile, ci parli del processo creativo e delle persone con cui hai lavorato a questo aspetto?
Mi viene spontaneo coinvolgere le persone a cui voglio bene nel mio lavoro e visto che parlo spesso di femminismo intersezionale e gender gap mi sembrava giusto trovare un modo per applicare questi ideali anche al mio lavoro.
Nella tua discografia non troviamo molte collaborazioni, questa libertà ha reso la tua penna più pungente?
Questo album è sicuramente frutto di un momento in cui ho provato ad uscire di me, dal mio diario, ho ascoltato tante storie e partendo dalle mie ho provato ad aprire il discorso, a rendermi più accessibile, spero più universale.
Davide, Marco e Ramiro. Com’è stato lavorare con loro alla creazione di Mostri?
Incredibilmente sereno, stimolante, soddisfacente. Siamo tre persone con idee chiare e ascolti simili, ci è venuto proprio naturale lavorare insieme. Sono molto grata a tutti loro e a tutto il team, se c’è una parola che racchiude il lavoro fatto è sicuramente “fiducia”.
C’è una persona che ti è sempre stata accanto negli anni di Giorgieness? Che legame hai con questa persona?
In effetti sì, la stessa persona che a 19 anni davanti ad un sushi mi disse “sai il giro di do? Hai qualcosa da dire? Molla le band e scrivi.” Nel tempo è diventata una coscienza interna, un grillo parlante. Penso sia importante avere un punto di riferimento in un mondo strano come il nostro.
Rispetto agli inizi di Giorgieness, sono cambiate le tue prospettive in base anche alle persone che ti circondano?
Ho imparato a vivere così tanto alla giornata, che non so parlare di prospettive. Chi fa musica come me può avere come unico alleato il tempo: restare, finché non fai qualcosa che faccia dire che hai fatto successo dal giorno alla notte, anche se sono dieci anni che predisponi le carte per l’unica cosa che non puoi controllare: una bella botta di.
Di Riccardo Impagliazzo
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Tags: Giorgieness, intervista