- per Antonio Contu'
- in Novità
- on 16/11/2023

Nei giorni scorsi abbiamo recensito “Frontiera“, il nuovo brano di Luca Francioso. La prolifica produzione artistica del cantautore e chitarrista ha trovato nuovo sfogo in un pezzo intenso: una riflessione sul suo approccio a qualsiasi scelta, su come a ogni bivio ne affronti le alternative diviso tra ragione e passione, e dalla conseguente consapevolezza di come, tra testa e cuore, a vincere sia perlopiù la pancia.
Abbiamo colto l’occasione per intervistare l’artista, che ci ha raccontato la sua scelta di tornare ad interpretare vocalmente un brano oltre a qualche dettaglio sull’evoluzione del suo percorso artistico.
Ciao Luca, bentornato su Primo Ascolto. Da pochi giorni è disponibile “Frontiera”, il tuo nuovo singolo: quali aspettative riversi su questo brano?
La speranza è quella che in effetti accomuna la pubblicazione di ogni mia opera, ovvero il desiderio che il suo imminente viaggio possa essere il più lungo e il più largo possibile. Avverto tuttavia un‘eccitazione con più strappi del solito, perché si tratta di una canzone: utilizzare la voce è una scelta che faccio sempre con grande attenzione e consapevolezza.
È raro trovarti impegnato anche a livello vocale: se restiamo agli anni più recenti ci torna in mente “Me stesso”, del 2020, oppure “Il rifugio”, del 2021. Da dove nasce questo tuo bisogno di abbinare la scrittura di un testo alla chitarra?
Ho iniziato il mio percorso musicale scrivendo e cantando canzoni. Il mio primo demo tape era di canzoni. Poi ho scelto una strada più specificatamente strumentale, ma credo di non aver mai perso questo approccio alla composizione. I miei brani sono a tutti gli effetti canzoni, nella scrittura e nella struttura. Canzoni senza testo. Tuttavia mi capita di sentire il bisogno di maggiore completezza nell’esposizione, come se la sola chitarra, in determinati momenti e per specifici contenuti, non fosse sufficiente. Di recente è accaduto con maggiore forza e con più frequenza, poi l’amore per le parole e per la scrittura ha fatto il resto.
Al netto di tutto ciò, proporre un brano in cui la chitarra è meno protagonista rispetto al solito ti suscita delle emozioni differenti?
Sì, ma non perché la chitarra sia meno protagonista. Che poi, a ben ascoltare, lo è comunque. È una questione di scopo e contesto e io ho sempre rifuggito la tecnica come unico fine. Le emozioni sono differenti perché è differente la forma: quando utilizzi la voce per cantare versi, specie se profondamente intimi, ti spogli completamente di fronte al mondo, non soltanto per un discorso tecnico, ma, direi soprattutto, perché viene distintamente delineato il contorno di ciò che sei dentro con parole che non si possono più cancellare.
Ti è mai balenata per la testa l’idea di proporre un progetto inedito più esteso, interamente cantato?
Più volte. E non escludo che possa effettivamente capitare, anche nel prossimo futuro. Ma per il momento preferisco che questa proposta artistica resti la sintesi di un’istante creativo, semplicemente, di cui, quasi d’istinto, assecondo la forza. D’altronde lo dico anche nella canzone: tra testa e cuore a vincere è la pancia, per lo più.
Tornando invece brevemente alla scrittura, quali sono i cantautori nostrani su cui riponi una maggiore stima artistica?
In generale stimo gli artisti che non si preoccupano di allinearsi alle mutabili tendenze di un momento storico, senza mai temere il giudizio altrui, specie quello della critica di settore, e si adoperano per trovare e tenersi stretta la propria voce, indipendentemente da stile e genere. Ho notato che la bontà di questo esercizio interviene con una certa regolarità anche sulla qualità della proposta artistica. Tendo tuttavia ad affezionarmi più alle canzoni che agli artisti, sorprendermi spesso ad apprezzare canzoni di artisti che magari seguo meno. Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Niccolò Fabi, Damien Rice, Dave Matthews e SYML sono comunque i cantautori a cui sono più legato, per differenti motivazioni.
Nella nostra ultima intervista palesavi la forte necessità di tornare stabilmente ad occuparti dell’attività live, che tra pandemia ed impegni paralleli hai dovuto forzatamente ridimensionare. Sei soddisfatto del 2023 sotto questo punto di vista?
A essere onesti, no. Mi piacerebbe suonare molto di più dal vivo, perché quella del concerto è la dimensione in cui mi sento più a mio agio. Spero di riuscirci presto.
Prima di salutarci ti chiedo: ci sarà spazio prima del termine di questo anno per qualche tuo nuovo progetto oppure hai intenzione di dedicarti ad altro?
Lavoro di continuo a nuovi progetti, anche quando non è preventivata alcuna pubblicazione a stretto giro. Le idee non mancano. Ho in cantiere due nuovi canzoni, un nuovo album di sola chitarra baritona e un progetto di video per i social. Nel frattempo continuo a occuparmi di lavori grafici per altri artisti (loghi, copertine, impaginazioni, siti web) e di revisione e editing di libri altrui.
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