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M.E.R.L.O.T.: quando percorso artistico e personale vanno di pari passo [INTERVISTA]

A cura di Giulia Nucifora

Lasciarsi andare e credere nei propri sogni non è sempre facile. Manuel, in arte M.E.R.L.O.T., lo sa bene: è un percorso che richiede molta pazienza e perseveranza e i cui risultati non sempre sono immediati, come una scalinata che lentamente porta verso un punto sempre più alto.

Dopo aver mosso i primi passi nel mondo della musica nel 2017, autoproducendosi e usando i social come strumento per farsi conoscere e aver collezionato nel tempo sempre più consenso, venerdì 30 settembre è finalmente uscito per Virgin Records “Gocce”, il suo nuovo album, e noi abbiamo parlato un po’ con lui di sogni, crescita personale e, ovviamente, musica.

Ciao Manuel, come stai? Partiamo innanzitutto con una breve presentazione: nasci in Basilicata e per motivi di studio ti trasferisci a Bologna, dove inizi a coltivare la tua passione per la musica. Come nasce il progetto M.E.R.L.O.T.?

Tutto bene, grazie! Sì, ho vissuto tutta la mia vita in Basilicata, in un paesino di 4.000 abitanti. Circa cinque anni fa mi sono trasferito a Bologna per studiare ingegneria, poi però ho iniziato a scrivere canzoni e ho preso coscienza di quello che volevo fare davvero nella vita, così ho deciso di abbandonare l’università. All’inizio non pensavo che avrei fatto questo passo, anche perché non credevo abbastanza in me stesso, ma ho imparato a vivere la mia vita e le mie scelte con molta più serenità, soprattutto dopo questo periodo di pandemia.

Credi che il tuo trasferimento, da un piccolo paese in Basilicata a una città come Bologna, e di conseguenza il cambio di contesto importante, ti abbiano spronato a cimentarti nella musica e credere di più in te stesso?

Assolutamente sì. Dopo aver preso la decisione di lasciare l’università sono rimasto comunque qui, perché è una città che mi ha dato tanto e che mi ha cambiato. Io volevo scrivere canzoni anche quando vivevo giù in Basilicata, ma dal momento che fare ciò significa mettersi a nudo, mi sentivo inevitabilmente esposto a un potenziale giudizio negativo. Poi, quando sono arrivato a Bologna, sono riuscito a liberarmi, sentendomi anche in dovere di dare il mio contributo a una città che valorizza così tanto qualsiasi tipo di produzione artistica. Mi ha aiutato a sbloccarmi ma anche a capire che non sempre il giudizio altrui sarà negativo: in molti, quando torno giù, mi fanno i complimenti per la mia musica.

Venerdì 30 settembre è uscito il tuo nuovo album, “Gocce”, contenente brani che conosciamo già ma anche inediti. Come ti senti al riguardo? Sei agitato?

Sì, sono un po’ agitato perché vedrò concretizzarsi tutto il mio lavoro. Allo stesso tempo, sono anche molto contento: ascolto le canzoni del disco da mesi e mesi e non vedo l’ora che le ascoltino anche gli altri. Spero che le facciano proprie.

Nel primo inedito del disco, Diamanti, parli di una relazione che, per quanto ti faccia bene, può potenzialmente farti anche molto male. Ci racconti com’è nata? Qual è la tua traccia preferita del disco?

Quando inizio a scrivere, raramente ho un’idea ben precisa di quale sarà il risultato. Una volta finito il processo di scrittura, mi rendo conto che sono riuscito a tirare fuori qualcosa che avevo dentro. Diamanti è nata proprio così: avevo dentro di me la necessità di esprimere la dualità di qualcosa che, per quanto bella, può anche farti stare molto male, come un diamante, che pur essendo bello e prezioso, può ferirti. La mia preferita del disco è Angeli Stanchi perché ci ho messo tutto me stesso. Quando ho finito di scriverla ero soddisfatto al 100%, cosa che non mi capita spesso.

Come abbiamo già detto, vieni spesso visto come portavoce della generazione z, soprattutto per i tuoi testi, che sono molto introspettivi e volti all’esplorazione di sé ma a volte anche molto tristi. Basti pensare al fatto che il titolo stesso del tuo nuovo album fa riferimento alle lacrime. Credi che la nostra generazione, quella dei giovani ventenni, sia una generazione triste?

Penso di sì. Ci sono delle aspettative enormi sulla nostra generazione, ma al contrario, ci insegnano che sognare e lasciarsi andare è sbagliato, ci insegnano a credere nelle cose sicure, come il posto fisso. Tutte queste aspettative ci stanno distruggendo, viviamo la vita in vista del nostro futuro, senza goderci il presente, e questa cosa mi dà molto fastidio. Per quanto riguarda i testi delle mie canzoni, credo che le canzoni tristi siano spesso quelle più significative, quelle che ascolti ancora dopo anni e anni dalla loro uscita. Difficilmente un tormentone estivo ha lo stesso effetto.

A gennaio 2022, il tuo brano “Ma dai”, viene lanciato in anteprima su TikTok. Che tipo di rapporto hai con i social? E con TikTok in particolare?

Penso che i social siano un’arma a doppio taglio: se sai usarli, sono un mezzo fondamentale. Io in primis, ho usato solamente i social per farmi conoscere, anche perché durante i mesi di lockdown era l’unico mezzo che avevo. TikTok è un mezzo potentissimo, molto più di Instagram: ti dà la possibilità di farti conoscere ma bisogna stare attenti a come lo si usa. È tutto troppo veloce e questo abbassa tantissimo la soglia dell’attenzione: l’altro giorno ho visto un video su YouTube e mi sembrava un film.

Questa estate sei stato un po’ in giro per l’Italia a far ascoltare la tua musica. A Bologna, in particolare, hai suonato sul palco di Sequoie Music Park, prima di Ariete, anche lei schietta portavoce della generazione z. Vuoi parlarcene un po’? Com’è stato suonare su un palco così grande nella tua città adottiva? Ti piacerebbe collaborare con lei?

Esibirmi sul palco di Sequoie Music Park è stato assurdo: è uno dei palchi più importanti in Emilia-Romagna. Anche aprire il concerto di Ariete è stata un’esperienza bellissima, dato che abbiamo un pubblico molto simile. Con Ariete non ci siamo mai visti, ma ci siamo scritti su Instagram: mi piacerebbe molto collaborare con lei perché credo che abbiamo la stessa visione in fatto di musica.

Tutti sappiamo che essere creativi significa anche avere molte reference: ci sono degli artisti a cui ti ispiri per fare musica?

Sì, sicuramente Gazzelle. L’ho scoperto su YouTube e lo ascolto da quando sulla sua pagina Spotify c’era solo Quella te, è stata la sua musica a spronarmi in questo percorso. Per quanto riguarda le reference internazionali, sono innamorato di Joji.

A breve, invece, ti esibirai all’Arci Bellezza di Milano e al MONK a Roma. Come va la preparazione in vista dei due live? Qual è, per te, il momento migliore e quello peggiore di una giornata di live?

Sono un po’ agitato e preoccupato perché è come se questi fossero i miei primi live, dato che porterò il mio primo album, ma non vedo l’ora. Il momento peggiore della giornata, quando devo suonare, è quello del soundcheck. Poi, stranamente, più si avvicina l’esibizione, più mi sento meglio.

Se dovessi fare un bilancio di questo 2022, sia dal punto di vista personale che della tua carriera, sarebbe positivo?

Sì, sto crescendo molto personalmente e anche musicalmente. Sto proprio vedendo che la mia strada è una scalinata, non ripida ma lenta. Tutto quello che sto facendo mi sta facendo crescere e ne sono grato.

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