- per Antonio Contu'
- in Recensioni
- on 05/10/2019

Tra i progetti più attesi dell’autunno 2019 spicca sicuramente l’ennesimo, nuovo album di Renato Zero, per la precisione il ventinovesimo in studio: “Zero il Folle”, infatti, ha finalmente visto la luce lo scorso venerdì, dopo aver realizzato l’impossibilità di vedere pubblicare il progetto il giorno del compleanno dell’artista, quattro giorni prima.
“Zero il Folle” arriva a due anni di distanza dall’ultimo lavoro inedito “Zerovskij”, accolto tiepidamente dalla critica ma capace di collezionare l’ennesimo disco d’oro, debuttando inoltre in vetta alle classifiche di vendita: se in quel caso si decise per un doppio cd, per questo lavoro l’artista romano decide di racchiudere i propri concetti in tredici brani, senza avvalersi di alcuna collaborazione.
L’album si apre con “Mai più da soli”, dove l’artista si dimostra un abile paroliere nel rapportarsi con le nuove tendenze e la tecnologia; “Viaggia”, invece, esorta ad assimilare esperienze girando per il mondo: un modo per capire, esplorare e fare pace con se stessi.
“La culla è vuota”, con un testo pungente in pieno stile Zero, invita a procreare per risollevare le sorti del paese; “Un uomo è” si focalizza invece sulle varie sfaccettature comportamentali e caratteriali dell’essere umano.
“Tutti sospesi”, uno dei nostri brani preferiti, parla di un mondo ormai troppo influenzato dai suoi stessi imprevisti; “Quanto ti amo” è capace di cambiare completamente la piega critica presa dal lavoro, grazie alla spassionata dichiarazione d’amore inclusa nel testo.
La settima traccia dell’album, “Che fretta c’è”, critica i ritmi frenetici della vita moderna, anticipando le confessioni della peccatrice e trasgressiva “Uffico reclami”; “Questi anni miei”, invece, è capace di placare nuovamente gli ardori grazie al suo ritmo riflessivo che trasforma l’intero brano in una spassionata ballad emotivamente impegnata.
“Figli tuoi”, decima traccia di “Zero il folle”, presenta uno dei testi più controversi dell’intero album: pur apprezzando le opportunità che la vita ci concede, l’intero testo rimarca sopratutto le difficoltà di un’esistenza poco supportata; “La vetrina”, singolo che ha anticipato l’album, è un inno alla vita e ad abbandonare vizi ed aspettative esagerate, in modo da godersi ciò che il destino ha disegnato per noi.
L’album va a chiudersi con “Quattro passi nel blu”, una toccante dedica ai maestri del passato, che anticipa l’ultima traccia dell’album, ovvero quella che dà il nome all’intero progetto: in “Zero il folle” vengono frettolosamente allontanate le aspettative goliardiche del titolo, rimpiazzate in maniera esplicita da un testo riflessivo, profondo e molto intimo, dove Renato omaggia l’estroversione del suo personaggio che gli ha permesso di produrre atteggiamenti e testi difficilmente consoni, ma paralleli alla sua “Follia”.
In conclusione, l’album di Renato Zero è stato abile nel smentire il dubbio della critica, che sottolineava la mancanza di argomentazioni da parte dell’artista romano negli utimi progetti: “Zero il folle” dimostra le capacità del sessantanovenne cantautore di stare al passo coi tempi, mostrando e rivelando un lato di sè che faticava effettivamente ad emergere negli ultimi lavori.
Ben fatto, Maestro!
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Tags: recensione, RENATO ZERO, ZERO IL FOLLE