- per Antonio Contu'
- in Recensioni
- on 11/09/2021

Le “Metamorfosi” di Ovidio hanno rappresentato, nel corso della storia, una risorsa incredibile di spunti creativi per tutte le arti. Una dimostrazione contemporanea di tale ricchezza è il primo disco da solista di Simone Faraci intitolato “Echo ex Machina”, in uscita il primo ottobre 2021 per Slowth Records.
Come suggerisce il titolo stesso, tale progetto nasce dalle mille suggestioni scaturite dalla lettura del mito di Echo, evidenziando in esso un forte parallelismo con la situazione pandemica vissuta dal 2020. Infatti, mai come adesso siamo circondati da voci mediate da strumenti tecnologici.
Nel mito, Echo perde la propria materialità, divenendo così puro suono, libero di viaggiare tra i boschi e le montagne. E così, anche le nostre voci, nella società contemporanea, viaggiano senza corpo da una piattaforma all’altra. Di noi non rimane più nulla se non il lontano eco della nostra presenza corporea.
Dal 3 settembre, è stata resa disponibile su tutte le piatteforme streaming la traccia intitolata “Τυέρτι”, in collaborazione con la performer Agnese Banti. Qui, la forma del linguaggio umano viene a perdersi completamente, acquistandone una nuova attraverso la fusione con la macchina, la quale è in grado di dare vita a un complicatissimo agglomerato sonoro del tutto rapsodico e inconsapevole.
La ricerca musical-sonora che sta alla base di “Echo ex Machina” è accattivante. Cercare di dare vita a un progetto il quale poggia su concetti così profondi e complicati come il l’assenza di forma, la scomposizione linguistica e la contrapposizione/analogia tra uomo e macchina, non è assolutamente semplice, ma “Τυέρτι” non tradisce le aspettative che ruotano attorno all’album, anzi! ne accresce la curiosità in modo esponenziale.
Tags: recensione, Simone Faraci, Τυέρτι